Silvia Mauri nasce in provincia di Como, attualmente vive a Milano dove lavora come illustratrice freelance.
Spauracchi, creature bizzarre, forme e colori rubati al mondo animale e vegetale, texture e pattern, sono alcuni degli ingredienti che compongono le sue illustrazioni, che strizzano l’occhio all’immaginazione e alla spensieratezza infantile anche quando non si rivolgono direttamente ai più piccoli.
I suoi lavori spaziano dalle autoproduzioni alle collaborazioni con case editrici (Rizzoli, Editoriale Scienza, Mc editrice) e pubblicazioni indipendenti (Storie da non raccontare e l’australiana Sewer side cult zine), riviste (Il Poster, Picame magazine), festival (Courmayeur Noir in festival, Parco Tittoni), brand (tra cui il birrificio canadese Collective Arts Brewing e La Nana sartoria creativa), band (Jellygoat) e associazioni culturali (Artemista, QualcosaBolleInPentola, Orto Creativo Urbano).
A Silvia piace: lo scoppiettio dei pop-corn fatti in casa, l’aperitivo con ricco buffet, “Blue monday” dei New Order, il trash, l’odore di benzina, l’uovo e l’ovoiforme.
A Silvia non piace: la bugia e chi ne fa uso, parlare di politica, Biagio Antonacci, sfrecciare alla guida, la frutta, il biliardo, le case bordeaux.
Ho immaginato una creatura perfetta, dalla pelle liscia e soffice come la neve, il corpo agile e sinuoso, e una straordinaria intelligenza.
La nutrirò con i miei frutti più dolci, che le sue zampe aggraziate coglieranno, le mie acque la rinfrescheranno e il mio fuoco la riscalderà, la mia terra morbida sarà per lei un caldo giaciglio, le mie foglie e il mio vento leggero la accarezzeranno.
Non dovrà temere alcun pericolo perché l’istinto la aiuterà a riconoscerlo e la ragione ad affrontarlo, e la sua eccezionale memoria le ricorderà sempre come superare ogni ostacolo.
Con la sua splendida voce canterà il suo amore per me e lo stesso faranno i suoi figli e i figli dei suoi figli, e così via, per l’eternità.
Raggiunsero un tavolo sistemato sotto un albero incredibilmente grande e rigoglioso, con degli
enormi frutti gialli.
«Questo è un albero di Giacca» disse O Italiano.
«Di Giacca?»
Alzando lo sguardo al cielo, Santo Emanuele si immaginò di vedere grucce che reggevano eleganti giacche, che dondolavano e giravano lentamente su se stesse, mosse dal vento. E scendevano e salivano con l’aiuto di liane.
Di sicuro sarebbe piaciuto a sua madre, che faceva la sarta.
Forse quello strano italiano amico di suo prozio era un inventore e magari l’elegante giacca che indossava l’aveva presa proprio da quell’albero.
«Não, che hai capito?» lo corresse O Italiano, «guarda, si scrive così…»
Dal taschino della camicia prese un taccuino e una matita e tracciò la sagoma di quattro lettere: j-a-c-a.
«Jaca! È un nome che deriva dalla lingua indigena. Una volta si usava per dire pane. Perché dalla polpa si ricava una farina ricca di amido. E dalla farina si fa il pane. Un solo albero può bastare a sfamare una famiglia intera per lunghi mesi.»
Tratto da: “Pacunaimba. L’avventuroso viaggio di Santo Emanuele”. Michele D’Ignazio (Rizzoli)
C’era un paio di volte, poco tempo fa, in un’oasi ai confini tra Realtà e Immaginazione.
Una capanna di paglia e argilla.
Questa capanna era così grande che accoglieva animali e genti di ogni origine e provenienza.
Le attività preferite degli abitanti della capanna erano il gioco, la danza e le risate ;
non vi era una lingua unificata e conosciuta da tutti, quindi non esisteva la parola, gli abitanti della capanna di paglia e argilla dell’oasi ai confini tra Realtà e Immaginazione erano MUTI.
Anche coloro che prima di arrivare avevano parlato, appena arrivavano si dimenticavano qualsivoglia lingua e non potevano emettere parole; erano capaci soltanto di VERSI confusi.
Godevano della libertà tipica delle bestie selvatiche e avevano sviluppato i sensi così tanto che da 5 erano diventati 50!
Esseri sensibilissimi e vulnerabili, acuti osservatori e ascoltatori erano creature di somma bellezza;
avevano una missione e quando si concludeva si ritiravano su una stella ai confini tra Realtà e Immaginazione.
A volte lontano dalle luci della città si può osservare il cielo e vedere le costellazioni e il grande carro; e se si ha il coraggio di balzarci sopra, la destinazione diretta è la capanna delle creature MUTE*
* Coordinate per raggiungere la capanna delle creature MUTE: oasi all’angolo tra Realtà e Orsa Maggiore, dritto verso Immaginazione.
“La storia muta”. Lara Caputo (Storie da non raccontare_selfpublishing)
mauri.silvia@yahoo.it